L’industria della plastica tra sostenibilità e innovazione

Opposizione netta a penalizzazioni fiscali o di altro genere per il settore plastica, disponibilità delle imprese per potenziare il riciclo e per far crescere una reale consapevolezza dell'impronta ambientale dei diversi prodotti e materiali: è questo il messaggio uscito dal convegno “L'industria della plastica tra sostenibilità e innovazione", organizzato il 27 novembre a Lucca da Confindustria Toscana Nord e Unionplast.

 

Le imprese respingono fermamente la visione della plastica come materiale di per sé dannoso per l’ambiente, sottolineando che senza una valutazione del ciclo di vita di un prodotto non si possono né conferire patenti di virtù ambientale né emettere condanne motivate da presunte dannosità. A provocare danni, infatti, non sono né la produzione né l'uso della plastica, ma la sua dispersione nell’ambiente: in sostanza comportamenti umani scorretti, lontani dalle più elementari regole di civile convivenza, al momento del fine vita di un prodotto.

 

L'insufficienza di sensibilità, cultura e consapevolezza ambientale è stata un tema tornato più volte nel corso dei lavori, che dopo i saluti della presidente della sezione chimica, plastica e farmaceutica di Confindustria Toscana Nord, Fabiana Roberti, hanno visto un'introduzione di Fabia Romagnoli, componente del consiglio di presidenza e consigliere con delega alla sostenibilità di Confindustria Toscana Nord. A Romagnoli è spettato anche il compito di chiudere il convegno, dopo gli interventi del presidente di Unionplast, Luca Iazzolino, del segretario generale di IPPR-Istituto per la promozione delle plastiche da riciclo, Maria Cristina Poggesi, del docente del Dipartimento di chimica dell'Università di Pisa, Valter Castelvetro, e del presidente di Revet, Livio Giannotti. Fra i temi toccati nel corso dell’evento il quadro normativo europeo e nazionale, il ciclo di vita delle plastiche, il recupero e riciclo, la necessità di diffondere sensibilità e informazione per un corretto smaltimento.

 

Scelte orientate sulla base dell’LCA

“È cresciuta l’attenzione per l’ambiente, cosa che apprezziamo come cittadini e come imprenditori - ha dichiarato Fabia Romagnoli - ma la diffusione della cultura ambientale non è andata di pari passo. La sensibilità ambientale deve sostanziarsi in una visione corretta e ponderata della realtà, non tradursi in una emotività eticamente lodevole ma non sostenuta da basi scientifiche. Per questo uno dei messaggi che abbiamo voluto mandare con questo convegno è che per stabilire quale impatto abbia effettivamente un prodotto sull'ambiente non ci si può fermare a impressioni soggettive ed episodiche ma bisogna considerarne l'intero ciclo di vita, secondo la tecnica LCA-Life Cycle Assessment: progettazione, acquisizione delle materie prime, fabbricazione, distribuzione, utilizzo, fino al suo fine vita. Tutte fasi, queste, che possono implicare aspetti come generazione di residui, consumi energetici, emissioni. E non basta neanche fare queste valutazioni: bisogna anche confrontare il ciclo di vita di quello specifico prodotto con quello dei prodotti con cui dovremmo sostituirlo se decidessimo di farne a meno. Solo ragionando in questi termini si può definire un prodotto come più o meno ecosostenibile. Parlo di singolo prodotto più che di intere classi di materiali perché ciascun uso richiede prodotti che hanno caratteristiche proprie e che vanno valutati in sé e per sé. Plastica, carta, tessile, vetro, legno, metalli vari non sono di per sé né buoni né cattivi: usati appropriatamente, sono tutti materiali validi, utili e talvolta insostituibili”.

 

La valutazione scientifica dell’impronta ambientale, misurabile con la tecnica LCA, è fondamentale per orientare le scelte di tutti: dei consumatori, della politica e delle aziende stesse, che a fronte di buone prestazioni ambientali possono valorizzare se stesse, facilitare operazioni di certificazione e alimentare un mercato virtuoso.

 

“Sono operazioni importanti ma anche complesse e dispendiose - ha precisato Romagnoli - Incentivi per la diffusione del LCA avrebbero effetti ben più interessanti di una tassa sulla plastica”.

 

Direttiva europea sui monouso

Fra gli argomenti più rilevanti la direttiva europea sui prodotti monouso, che nel giro di due anni dovrebbe portare alla loro progressiva e drastica riduzione, e le penalizzazioni fiscali - anche se il testo è tuttora molto fluido - per l'intero settore o gran parte di esso nella Legge di bilancio 2020.

 

"La direttiva europea include anche obblighi di etichettatura, per informare i consumatori sul corretto smaltimento dei rifiuti, sul contenuto di plastica e sull’impatto ambientale, e misure relative alla progettazione dei prodotti, per esempio bottiglie per bevande con tappo collegato per limitare la dispersione di materiali. Indicazioni di buonsenso, alle quali le imprese non hanno motivo di opporsi. Per quanto riguarda il monouso la questione è più complessa. Sul piano tecnico le plastiche monouso sono, come tutte le plastiche, facilmente riciclabili e che quindi non hanno, intrinsecamente, nessuna caratteristica che le possa far bollare come nemiche dell’ambiente. Casomai sono i contesti e le modalità dell'uso di queste plastiche che, a causa di comportamenti irresponsabili, producono effetti particolarmente dirompenti. Le imprese produttrici di plastica monouso, ma ancor prima e ancor di più l'ambiente e la collettività, pagano per questi comportamenti, non per altro", ha osservato Fabia Romagnoli.

 

Plastic tax

Sulla possibile, anche se ridotta e forse rimandata, plastic tax, Romagnoli ha dichiarato: "Tassando la produzione di plastica si mettono in ginocchio le aziende o le si induce a riversare l’onere sui consumatori: niente di più né di diverso. Soprattutto, niente di virtuoso dal punto di vista ambientale, ma una sottrazione ai bilanci aziendali di risorse che potrebbero essere destinate all'innovazione. La plastica è diventata un capro espiatorio. Bisognerebbe lavorare di più invece sul riciclo, e non solo con la ventilata introduzione, accanto alla tassa, di un credito d’imposta del 30% per riconvertire gli impianti in questa direzione. Una misura positiva, questa, ma ciò che veramente manca è un mercato pronto a recepire i prodotti in plastica riciclata senza diffidenze. Un piano nazionale che andasse in questa direzione, che partisse quindi dal mercato, potrebbe essere decisivo per far crescere il riciclo. Tecnicamente parlando, infatti, la plastica è facilmente riciclabile; è una produzione che, con materie prime vergini o di riciclo, utilizza poca energia, dato il basso punto di fusione necessario, e non ha bisogno di acqua. Anche questo dovrebbe essere considerato quando si pensa alla plastica".

 

Sostenibilità e disinformazione

Sulla stessa linea il presidente di Unionplast Luca Iazzolino: "La sostenibilità della plastica fa i conti con la disinformazione. La plastica è un materiale straordinario sotto diversi punti di vista e abbiamo il dovere di difendere il progresso che essa ha consentito non solo in relazione alla possibilità di accedere ai consumi per una molteplicità di individui, ma soprattutto per le garanzie in termini di sicurezza - e non solo - che ha potuto offrirci. Plastic-free è uno slogan che danneggia il paese, il lavoro e i consumatori come qualunque tassa priva di una concreta etica ambientale. Questo odio globale vede la plastica come problema perché il suo fine vita è percepito come una criticità - ed è chiaro che lo sia laddove il rifiuto non è gestito - ma dovremmo piuttosto far comprendere che senza la plastica gli impatti ambientali complessivi sarebbero più gravi benché non immediatamente tangibili come un rifiuto di plastica abbandonato. La vera sfida è far sì che i rifiuti siano gestiti!".

 

Nella gestione dei rifiuti è incluso anche il necessario miglioramento della qualità della raccolta differenziata, in cui confluiscono indiscriminatamente troppe tipologie diverse di plastica e anche prodotti multimateriale: una situazione questa che ha effetti rilevanti sul materiale di riciclo.

 

Fra i temi toccati anche le bioplastiche, rispetto alle quali le imprese non hanno alcuna preclusione. Tuttavia, è stato evidenziato, le bioplastiche non si prestano a tutti gli usi e la materia prima per produrle è costituita da materiali organici come l’amido, estratto da mais coltivato appositamente e sottratto all’uso alimentare, rivelandosi una soluzione con un consistente impatto ambientale e una connotazione etica da approfondire.

 

Così Romagnoli ha concluso il suo intervento e il convegno: “L’hashtag #plasticfree è illusorio e deleterio; piuttosto bisognerebbe impegnarci tutti - legislatori, produttori e consumatori - per un processo di #letsknowplastics, per una migliore consapevolezza su prodotti e materiali plastici”.