Il PPWR rischia di colpire il 30% del PIL Italiano

(Foto di EmDee da Wikipedia)

La proposta di Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (il cosiddetto PPWR) se approvata nella sua attuale formulazione provocherebbe conseguenze pesantemente negative sulle filiere produttive nazionali e sui consumatori oltre che effetti opposti agli obiettivi di sostenibilità che dichiara di voler perseguire. Inoltre, metterebbe in discussione il riciclo, dove l’Italia è leader a livello europeo, non tenendo conto di soluzioni più sostenibili come le bioplastiche totalmente biodegradabili. È questo, in sintesi, quanto scrivono le associazioni di categoria italiane del settore agroalimentare Coldiretti, Filiera Italia, Cia, Confapi, Ancc-Coop, Ancd-Conad, Legacoop, Legacoop Agroalimentare, Legacoop Produzione&Servizi, Ue.Coop, Fai Cisl e Uila al Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, ai Ministri coinvolti direttamente, ai Presidenti dei gruppi politici della Camera e Senato e ai Capi delegazione Parlamento in merito al testo della proposta di PPWR dopo il voto in Commissione ambiente del Parlamento europeo del 24 ottobre 2023. Appello condiviso anche da Assobioplastiche. 

L’attuale presidenza spagnola sta accelerando ulteriormente il negoziato, cercando di far approvare un orientamento generale già al Consiglio ambiente del 18 dicembre e si rende quindi necessaria un’azione per fermare tale proposta che, sottolineano le associazioni firmatarie, stravolge completamente la strategia finora utilizzata per la riduzione dei rifiuti di imballaggio passando dal principio del riciclo, che ha caratterizzato tale strategia negli ultimi anni, a quella del riuso. Il nostro Paese è diventato negli ultimi anni punto di riferimento globale nel materiale innovativo riciclabile e ha già raggiunto in termini di riciclo obiettivi superiori alla stragrande maggioranza degli altri Paesi: il tasso di riciclo complessivo degli imballaggi in Italia ha raggiunto quota 73,3% nel 2021, superando l’obiettivo del 70% fissato per il 2030, collocando il nostro Paese al secondo posto in Europa per riciclo degli imballaggi pro-capite.

(Foto da sito internet Goglio)

Rimettere in discussione questo modello ormai consolidato rischia di vanificare gli sforzi e gli obiettivi raggiunti finora, generando un impatto estremamente pervasivo che rischia di colpire oltre il 30% del PIL italiano. Il danno non sarebbe infatti limitato alle sole aziende degli imballaggi ma riguarderebbe, a ritroso, filiere fondamentali per il nostro Paese, quali l’intero settore agroalimentare, dalla produzione, alla trasformazione e distribuzione, mettendo a rischio decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Non è pensabile, tra l’altro, che le abitudini consolidate di milioni di consumatori possano essere stravolte con un semplice tratto di penna. La proposta impatterebbe, inoltre, anche un settore come quello delle bioplastiche compostabili e totalmente biodegradabili, da qui il sostegno dell’iniziativa da parte di Assobioplastiche, introducendo una serie di restrizioni d’uso, limitando di fatto l’innovazione negli imballaggi e non permettendo il ritorno degli ingenti investimenti fatti in innovazione e in bioraffinerie prime al mondo oggi in funzione in Italia. Questi impianti sono un asset del nostro Paese e potrebbero invece permettere a intere filiere di imballaggi di continuare a lavorare e a innovare, potendo tra l’altro contare sulle migliori infrastrutture per il trattamento del rifiuto organico in Europa. Si tratta di bioplastiche e di bioprodotti da fonti rinnovabili concepiti per la tutela del suolo e delle acque, attraverso la riconversione di siti industriali non più competitivi, nel rispetto delle specificità locali e in partnership con tutti gli attori della filiera. 

Per il settore agroalimentare in particolare, la proposta impatta negativamente il confezionamento stesso dei prodotti, mettendo a rischio gli attuali standard di sicurezza e qualità alimentare, ma anche la durata sugli scafali dei prodotti stessi, con il conseguente rischio di aumento degli sprechi dovuto alla maggiore deperibilità degli alimenti venduti senza confezione. Un esempio indicativo è rappresentato dal divieto, che verrebbe introdotto da tale proposta, di confezionamento di frutta e verdura in quantità inferiori a 1,5 kg, prescrizione che determinerebbe la definitiva scomparsa del settore della quarta gamma di cui l’Italia è leader mondiale. Altro esempio rappresentativo sarebbe l’obbligo di passare dal riciclo al riuso nel settore dell’HoReCa, con la difficoltà di sostituire, per esempio, nel servizio d’asporto, le stoviglie monouso riciclabili con materiale in plastica da riutilizzare che andrebbero restituite dal consumatore ogni volta al ristorante di provenienza. Ciò aiuta a comprendere come, secondo tutte le più recenti evidenze scientifiche, gli imballaggi riutilizzabili che la Commissione europea vorrebbe imporre sarebbero più impattanti del packaging monouso stesso e comporterebbero, secondo le stime, un aumento del 180% di emissioni di CO2 e di circa il 240% del consumo d’acqua. In conclusione, secondo le associazioni firmatarie dell’appello, tutto ciò genererebbe anche un ulteriore aumento dei costi di produzione per l’intera filiera agroalimentare, con pesanti ripercussioni sui prezzi pagati dai consumatori in un momento di grande difficoltà economica in cui abbiamo è appena stato sottoscritto con il Governo il patto antiinflazione con obiettivi opposti.

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