28° rapporto Responsible Care: chimica sempre più sicura ed efficiente
L’industria chimica è uno dei settori dove è più sicuro lavorare; persegue lo sviluppo sostenibile minimizzando l’impatto ambientale a parità di produzione - quindi indipendentemente dalla congiuntura economica - in un’ottica circolare; si impegna costantemente per un uso più efficiente dell’energia e per la riduzione degli impatti climatici, a beneficio di ambiente, competitività e resilienza proprie e di tutte le filiere produttive a valle. Questi gli spunti che emergono dal 28° rapporto annuale Responsible Care, programma mondiale volontario di promozione dello sviluppo sostenibile dell’industria chimica, presentato il 9 novembre nel corso di Ecomondo.
L’industria chimica vanta da anni una posizione di primo piano nell’ambito di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro: l’incidenza degli infortuni nel settore è inferiore del 41% rispetto alla media manifatturiera. Dal 2010 il numero degli infortuni, a parità di ore lavorate, è diminuito del 40% e mostra un ulteriore calo (quasi il 12%) rispetto al 2019: segno che la sensibilizzazione dei dipendenti verso atteggiamenti sicuri e responsabili e alcune buone pratiche introdotte durante la pandemia, come la riorganizzazione delle modalità e degli ambienti di lavoro, hanno generato effetti positivi.
“Questi risultati sono frutto di un ingente impegno economico delle nostre imprese, che investono per sicurezza, salute e ambiente mediamente oltre il 2% del fatturato annuo, pari circa a un quarto degli investimenti totali. Un impegno testimoniato anche dalla proficua collaborazione con Inail, in atto da oltre da 15 anni”, ha osservato Paolo Lamberti (nella foto sotto), presidente di Federchimica, la federazione nazionale dell’Industria chimica che dal 1992 gestisce il programma Responsible Care in Italia.
Il rapporto dimostra anche l’impegno del settore sul fronte del consumo energetico; rispetto al 1990, l’industria chimica ha migliorato la propria efficienza energetica del 60% a parità di produzione: un risultato rilevante e ben superiore all’obiettivo fissato dalla UE (32,5% entro il 2030). Ciò anche grazie a investimenti in cogenerazione, utilizzo di energie rinnovabili ed economia circolare.
Nel complicato contesto post pandemico, contrassegnato anche dall’esponenziale aumento dei costi energetici e delle materie prime, il settore ha comunque migliorato le già ottime prestazioni rispetto a tutti gli indicatori di sostenibilità ambientale: dal 1990 le emissioni dirette di gas serra si sono ridotte del 62% e le emissioni in atmosfera sono diminuite in media di oltre il 95%, grazie a miglioramenti di processo e prodotto e all’adozione di nuove tecnologie. È stato poi sensibilmente ridotto, a parità di produzione, il consumo di acqua (-44%), in particolare di acqua dolce (-56%), più pregiata in quanto indispensabile per gli ecosistemi. Diminuisce anche la produzione di rifiuti (-3,4% in un anno) e migliora la loro gestione: il riciclo è la prima modalità di trattamento ed equivale a quasi il 30% del totale.
“Già trent’anni fa la chimica in Italia si faceva promotrice di un nuovo modo di fare impresa, con sistemi di governance basati anche sugli aspetti socio-ambientali. Anche nel difficile scenario in cui ci troviamo a operare, perseguire lo sviluppo sostenibile è prioritario. La transizione ecologica è un cambiamento fondamentale sotto il profilo sia ambientale sia economico, purché non si perda di vista il rapporto tra costi industriali, benefici della collettività e tempi necessari per la sua piena e concreta attuazione. La chimica è una infrastruttura tecnologica innovativa, in grado di rendere più sostenibili i processi produttivi e i prodotti stessi, con un effetto virtuoso anche per i comparti utilizzatori. I risultati in continuo miglioramento dimostrano che affrontiamo i temi ambientali con serietà e concretezza, andando oltre gli slogan semplicistici e i falsi miti”, ha concluso Lamberti.