Biomateriale per imballaggio in fase di sperimentazione
Dopo che Avantium e Polytype avevano annunciato, al K 2013, una collaborazione per lo studio e lo sviluppo di prodotti estrusi e termoformati in PEF, l’attuazione pratica dell’accordo è stata affidata in via esclusiva a OMV Machinery, costruttore italiano di termoformatrici, linee di estrusione e stampi, controllata da Polytype.
Negli ultimi anni le bioplastiche hanno ricevuto un’attenzione sempre crescente, supportate anche dalla loro capacità di ridurre le emissioni di GHG (Green-House-Gas, quali, per esempio, metano e ozono) e di accrescere la sicurezza delle materie prime di base, attraverso il passaggio da fonti fossili quelle di origine vegetale. La maggior parte delle bioplastiche oggi disponibili si basa su derivati di amidi e zuccheri e la successiva trasformazione in polimeri.
Dato che non tutti i biopolimeri sono attraenti in termine di risparmio energetico legato alla loro produzione, di emissioni di GHG e di impatto ambientale (le aree destinate alla produzione di biostock vengono sottratte alla produzione di derrate alimentari), si avverte la necessità da parte dei dipartimenti di ricerca e sviluppo dei principali utilizzatori di trovare nuovi monomeri e polimeri. Recenti ricerche indicano l’FDCA (acido furandicarbossilico) come un interessante possibilità in questa direzione, poiché è considerato un’alternativa bio al PTA (acido tereftalatico purificato), il monomero di base per la produzione del PET, uno dei polimeri più utilizzati al mondo in termini di quantità di prodotto trasformato. La polimerizzazione di FDCA con MEG (glicole mono-etilenico) porta alla produzione di PEF (polietilenfuranoato).
Il PEF attualmente è prodotto su scala sperimentale dall’olandese Avantium e si prevede che sarà disponibile su scala industriale nel 2017. Avantium utilizza una tecnologia proprietaria chiamata YXY, un particolare sistema di catalizzazione. Si tratta di un materiale con proprietà nuove e superiori rispetto a quelli esistenti di derivazione fossile od organica.
Innanzi tutto va segnalata la significativa riduzione della “carbon footprint”, vale a dire, come definito dal protocollo di Kyoto, l’equivalente in anidride carbonica delle emissioni di gas a effetto serra. Inoltre, la produzione di PEF consente un’analoga riduzione dell’uso di energie non rinnovabili rispetto ad altre resine. Passando all’analisi delle proprietà termo/meccaniche, si può innanzitutto osservare che il PEF ha un rapporto tra peso molecolare (MW) e viscosità intrinseca (IV) simile al PET, fermo restando che si tratta di materiali diversi. Il “melt-point” del PEF è leggermente più basso di quello del PET e, conseguentemente, le temperature di estrusione si possono allocare all’incirca all’interno del medesimo intervallo o anche un po’ più in basso. La temperatura di transizione vetrosa (Tg) del PEF è di circa 10°C più alta di quella del PET. Il modulo elastico del PEF è circa il 60% più elevato di quello del PET.
Ma è nell’effetto barriera che il PEF eccelle, facendo ritenere di poter essere una potenziale valida alternativa per le molte applicazioni che attualmente richiedono l’uso di materiali con tale proprietà. Infatti, dai test iniziali che sono stati condotti su alcuni campioni, il PEF dimostra un effetto barriera nei confronti di ossigeno e anidride carbonica almeno 4-5 volte superiore di quello del PET, che a sua volta è significativamente superiore a quello delle poliolefine. Riassumendo, il PEF: dimostra eccellenti proprietà barriera e può consentire di evitare l’uso di costosi materiali multistrato; può estendere la vita in scaffale di molti prodotti deperibili; permette di ridurre drasticamente l’emissione di GHG. Inoltre, può essere prodotto utilizzando in larga parte gli impianti attualmente utilizzati per la trasformazione del PET.
Claudio Menini (sales manager OMV Machinery), Benoit Berny (junior project leader Avantium), Jesper van Berkel (project leader Avantium)