Tassare la plastica: come fermare l’innovazione

Abbiamo reso disponibile nel nostro sito internet https://www.iip.it/plastic-tax-sviluppo-e-innovazione-non-si-incentivano-con-nuove-tasse/ un documento di ampia analisi sul tema specifico, corredato da dati scientifici e tecnici circostanziati. Vista l’elevata criticità dell’argomento in relazione al settore industriale di riferimento, proviamo a riassumere in queste righe le principali incongruenze di questa tassa e a ipotizzare alcune azioni.

 

Innanzi tutto, questa disposizione non risolve tecnicamente il problema per cui è stata pensata, ovvero la riduzione dell’inquinamento da plastiche.

 

Di contro, mette praticamente all’indice una categoria di materiali che hanno rivoluzionato e migliorato il comfort e il tenore di vita delle più recenti generazioni, materiali di cui non possiamo realisticamente fare a meno e che continueranno a fornirci prodotti e dispositivi essenziali per il progresso e la nostra futura esistenza.

 

La tassa, allo stato attuale, determina di fatto il raddoppio del costo della materia prima, con un effetto diretto depressivo sui volumi produttivi del settore e di riflesso contrattivo sui collegati livelli occupazionali (circa 11 mila imprese nella filiera, fatturato superiore ai 30 miliardi di euro, oltre 150 mila addetti).  

 

La “plastica” in pratica esiste dal 1860-1870 ma gli effetti negativamente più visibili per l’ambiente si sono palesati solo negli ultimi anni, a seguito del progressivo diffondersi delle plastiche monouso e della non proporzionale crescita della capacità umana di gestione del loro fine vita.

 

Una tassa che intende ispirarsi al principio di far pagare chi inquina dovrebbe mirare a punire chi non smaltisce correttamente l’oggetto in plastica (ovvero noi consumatori) e non i produttori/trasformatori di tali materiali, con un provvedimento che punta invece, con opportunismo e superficialità, sulla maggior efficacia - sia normativa che operativa - della seconda opzione.

 

La plastica deriva direttamente dal petrolio, del quale conserva le buone capacità di combustione. Quindi, come in altri paesi più lungimiranti ed efficienti, va percorsa comunque la soluzione del recupero energetico (quindi termovalorizzatori) per quelle plastiche che non sono attualmente riciclabili e che altrimenti finirebbero in discarica. Tanto detto, sappiamo che la soluzione finale, sostenibile per il futuro, non è la combustione, ma il riciclo vero e la valorizzazione delle materie prime seconde.

 

Per le plastiche oggi tecnicamente riciclabili è necessario garantire una filiera con un processo tecnicamente ed economicamente sostenibile. Quindi disponibilità certa di quantitativi minimi in filiera, per giustificare e incentivare gli indispensabili investimenti industriali. Per quelle plastiche eterogenee che oggi presentano più difficoltà a essere riciclate, al di là della termovalorizzazione, sarebbe opportuno ripensare al riciclo chimico in alcune sue varianti come il feedstock recycling, che genera composti intermedi utilizzabili come carburanti o materie prime per altri processi chimici.

 

Quando le tematiche ambientali coinvolgono cifre così significative, è inevitabile il rischio di greenwashing, che ad esempio rischia di coinvolgere demagogicamente (a danno anche degli operatori di tale settore) le bioplastiche, le plastiche biodegradabili e quelle compostabili, con una grande  confusione generata tra i consumatori, ad esempio nelle modalità di  smaltimento, con errata assunzione di equivalenza tra questi termini, non essendo una bioplastica necessariamente biodegradabile e viceversa.

 

La soluzione non è eliminare tutta la plastica dalle nostre vite, ma usarla in modo attento e cosciente, sviluppando programmi di educazione e formazione per un uso intelligente di questo prodotto, insegnando ai consumatori a non gettare oggetti plastici nell’ambiente, ma a smaltirli efficacemente, ricordando sempre che la plastica è uno dei prodotti maggiormente recuperabili e riciclabili, con la più bassa impronta di carbonio e quindi la minor emissione di anidride carbonica. In questo dinamico e competitivo scenario, il trasferimento tecnologico costituisce un tema di enorme importanza e criticità in quanto singolarmente le aziende non sono in grado di affrontarlo in modo autonomo. Le tempistiche del cambiamento non possono essere immediate per carenza di tecnologie alternative altrettanto valide ed efficaci. Occorre pertanto gestire la transizione in modo consapevole e sostenibile, evitando pericolose accelerazioni che avrebbero come unico risultato la perdita di valore e competitività delle nostre aziende, se non la sopravvivenza delle stesse.