La fotografia della filiera italiana delle bioplastiche compostabili
Fenomeni di illegalità ancora troppo diffusi, pericolosi meccanismi di dumping, calo dei consumi, forte diminuzione dei listini, crescente diffusione delle stoviglie “pseudo-riutilizzabili”, presenza crescente di materiali non compostabili all’interno della raccolta dell’umido, un grave stato di disinformazione. Sono molti i fattori da prendere in considerazione per comprendere i dati che descrivono lo stato di salute della filiera delle bioplastiche compostabili e della raccolta dell’umido in Italia. Dopo un decennio di crescita pressoché costante - che ha visto triplicare i volumi prodotti e più che raddoppiare fatturato, numero di addetti e di aziende - il 2023 ha fatto segnare la prima battuta d’arresto. La fotografia è contenuta nel “X rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili”, presentato durante il primo forum italiano delle bioplastiche compostabili organizzato da Biorepack, Assobioplastiche e Consorzio Italiano Compostatori (CIC) a Roma il 12 giugno.
Numeri non allarmanti in sé, ma che non devono essere sottovalutati, visto il valore strategico che, anno dopo anno, la filiera delle bioplastiche ha dimostrato di avere, sia dal punto di vista della propensione agli investimenti in ricerca e sviluppo, sia per la capacità di costruire e moltiplicare sinergie con altri settori a partire da quello agricolo e, non da ultimo, per gli indubbi vantaggi ambientali che essa garantisce. Un comparto prezioso da tutelare, che in due decadi è diventato un sistema economico fortemente interconnesso, in grado di unire la ricerca con l’agricoltura e l’industria, il mondo dei consumi e del commercio con quello del riciclo e della produzione di compost e biogas, e che l’Italia è chiamata a proteggere se non vuole perdere la propria leadership nell’ambito della bioeconomia circolare.
Produzione, riciclo, compostaggio: i numeri più rilevanti
Dal rapporto 2023, stilato dalla società di ricerca Plastic Consult, risulta che il fatturato sviluppato dalla filiera, dopo il record 2022 (1,16 miliardi di euro) è sceso a 828 milioni (-29,1%), a seguito della forte flessione registrata dai listini (materie prime, semilavorati e prodotti finiti). Calano anche i volumi complessivi dei manufatti prodotti, pari a 120.900 tonnellate (-5,5% sul 2022), situazione analoga a quella registrata nel settore delle termoplastiche convenzionali vergini (-6%). Tra i principali settori applicativi, nel 2023 le maggiori difficoltà sono state incontrate dal comparto monouso (-20%), schiacciato tra la concorrenza sleale dello “pseudo-riutilizzabile” e dalle importazioni di manufatti compostabili dall’Estremo Oriente. Positivo, invece, l’andamento per i prodotti legati alla raccolta dell’umido e i film per l’agricoltura.
Anche nel 2023 cresce invece il numero di aziende, attualmente 288 suddivise in produttori di chimica di base e intermedi (5), produttori e distributori di granuli (20), operatori di prima trasformazione (198), operatori di seconda trasformazione (65). Sostanzialmente stabile rispetto al 2022 il numero di addetti dedicati (ovvero quelli che nelle aziende del comparto si occupano direttamente dei prodotti che entrano nella filiera delle bioplastiche compostabili), pari a 2.980, -0,8% rispetto all’anno precedente.
Per quanto riguarda le attività di riciclo organico delle bioplastiche compostabili, i numeri rimangono positivi: nel 2023 il tasso al netto degli scarti è stato infatti pari al 56,9% dell’immesso al consumo (44.338 tonnellate a fronte delle 77.900 immesse sul mercato). Un dato che si conferma superiore sia agli obiettivi di riciclo fissati per il 2025 (50%) sia per il 2030 (55%). Al tempo stesso, cresce il numero di Comuni convenzionati con il consorzio Biorepack: sono oltre 4600 (58,5% del totale) e in essi risiedono più di 43,6 milioni di cittadini (il 74,1% della popolazione nazionale, dato in crescita di quasi 10 punti rispetto al 2022). Agli enti locali convenzionati sono stati riconosciuti corrispettivi economici per 9,4 milioni di euro (dato in linea con l’anno precedente) a copertura dei costi di raccolta, trasporto e trattamento degli imballaggi in bioplastica compostabile conferiti insieme ai rifiuti domestici.
Non meno rilevanti, i dati relativi alle attività di trattamento: i 155 siti di compostaggio, digestione anaerobica e sistemi integrati, distribuiti nelle diverse regioni italiane, hanno trattato nel 2022 poco più di 5 milioni di tonnellate di rifiuto umido urbano. Il loro contributo alla produzione di compost è stato pari a 1,44 milioni di tonnellate. Numeri di tutto rilievo, anche ambientale: infatti, come evidenziato dal comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ogni tonnellata di rifiuto organico che viene processato tramite compostaggio anziché smaltito in discarica, permette di evitare l’emissione di 1,4 tonnellate di CO2eq, legato ai benefici associati all’utilizzo del compost nei terreni agricoli.
Gli ostacoli alla crescita futura
Al di là della congiuntura macroeconomica, caratterizzata da debole crescita ed elevati tassi di interesse con effetti notevolmente depressivi sui consumi finali, a preoccupare gli operatori della filiera sono diversi aspetti ben noti agli addetti ai lavori ma che, nonostante tutto, continuano a essere sottovalutati nell’azione normativa.
Ancora troppo diffuse sono in particolare le tante forme di illegalità, che mettono in pericolo la filiera legale e hanno enormi esternalità ambientali. A esserne colpiti, soprattutto i bioshopper e i sacchetti per l’ortofrutta: sotto accusa, nonostante una legge introdotta ormai più di dieci anni fa, la frequente commercializzazione di borse per asporto merci realizzate in materiali non compostabili, prive di qualsiasi requisito di legge e contenenti falsi e ingannevoli slogan ambientali che inducono in errore il consumatore.
“Allo stesso tempo”, ha sottolineato Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche, “continua ad aumentare l’importazione di shopper a basso costo e di dubbia qualità dall’Estremo Oriente, dietro alla quale si nasconde un probabile sostegno dei governi locali. Tutto questo rappresenta un dumping non più sostenibile, sul quale le autorità devono fare piena luce perché danneggia la sostenibilità economica delle produzioni nazionali. L’Italia deve dotarsi di tutti gli strumenti necessari a salvaguardare una sua indubbia eccellenza industriale”.
C’è poi il capitolo dei cosiddetti “pseudo-riutilizzabili”, che stanno aumentando di numero sugli scaffali di mercati e supermercati. Piatti, bicchieri, posate realizzate in plastica tradizionale che sono vietati dalle norme sul monouso, ma che continuano a essere commercializzati semplicemente perché autodichiarati come “riutilizzabili”. In questo caso, tutto è reso possibile da una lacuna nella norma italiana: nonostante la legge di delegazione europea 2019-2020 (52/2021) prevedeva che venissero individuati specifici parametri tecnici per poter definire riutilizzabile un prodotto, il decreto legislativo 196/2021 non li ha indicati, attivando un circolo vizioso dalle conseguenze estremamente preoccupanti: proliferazione di dichiarazioni ambientali sui prodotti al limite del greenwashing, disincentivo per le imprese a effettuare riconversioni produttive, freno allo sviluppo delle imprese della bioeconomia circolare, rischio di vanificare gli obiettivi ambientali e di riduzione del consumo di plastica, pericolo di cattivo utilizzo delle risorse pubbliche con il paradosso che i crediti d’imposta e gli incentivi potrebbero finire a finanziare imprese senza che queste si riconvertano realmente sul vero riutilizzabile. A ciò si aggiunge un pericoloso aumento dei casi di disinformazione, che, basandosi su posizioni pregiudiziali e assolutamente antiscientifiche, finiscono per diffondere fake news sui materiali compostabili, creando dubbi fra i cittadini e danneggiando la qualità della raccolta differenziata.
“Tutti questi elementi rappresentano un ostacolo incredibile alle capacità di crescita del settore del riciclo organico dei materiali compostabili e compromette le performance di produzione italiana di compost”, ha commentato Marco Versari, presidente di Biorepack, ricordando come ogni chilogrammo di materiali non compostabili (principalmente plastiche tradizionali, vetro e metalli) che “sporcano” la raccolta dell’umido e che vanno separati prima delle operazioni di riciclo, sottragga anche 1,65 kg di matrici compostabili. “Questo fenomeno”, ha aggiunto Versari, “danneggia i margini di crescita delle aziende e causa problemi economici e di gestione ai Comuni. Ecco perché ci aspettiamo interventi urgenti da parte del governo e delle autorità locali. E a livello europeo, il nostro Paese deve farsi portavoce affinché la valorizzazione degli scarti umidi e compostabili sia uno dei cardini delle politiche ecologiche della nuova legislatura europea”.
Il legame tra utilizzo dei materiali compostabili, corretta raccolta differenziata dei rifiuti organici e trasformazione in compost non va infatti sottovalutato: da esso dipende la possibilità di vincere le più importanti sfide ambientali italiane ed europee. “Produrre compost dai rifiuti compostabili vuol dire valorizzare una frazione dei rifiuti domestici che rappresenta il 40% del totale”, ha spiegato Lella Miccolis, presidente del CIC. “Questo prodotto tipico della bioeconomia circolare aiuta a riportare fertilità ai terreni agricoli riducendo l’uso di fertilizzanti di origine chimica. In questo modo, diminuiscono drasticamente i rifiuti inviati in discarica, si evita la produzione di ulteriore CO2 e si preserva la capacità di stoccaggio di carbonio da parte dei terreni agricoli. A livello europeo la raccolta obbligatoria dell’umido e dei materiali compostabili può offrire ampi spazi di crescita. Valorizzare e sostenere la produzione di compost è coerente con gli obiettivi di salvaguardia dei suoli che la stessa UE si è data in questi anni con la sua “Mission Soil” e con la direttiva approvata nelle settimane scorse dall’Europarlamento”.