Riciclo a rischio per il caro-bollette, l’allarme di Assorimap
“Abbiamo sospeso il 40% delle attività, perché i costi dell’energia non sono più sostenibili”. Il grido d'allarme arriva da Assorimap, l’associazione nazionale delle aziende che riciclano le materie plastiche. Alcuni impianti sono già chiusi, mentre altri sono rimasti operativi soltanto alcuni giorni della settimana, una conseguenza del caro-bollette, che da giugno ad agosto sono aumentate del 440%.
Già lo scorso febbraio Assorimap aveva chiesto provvedimenti strutturali al governo per fronteggiare i costi dell'energia cresciuti del 345% in un anno. L’associazione chiede dunque interventi immediati al governo ancora in carica, ma si rivolge anche alle forze politiche che sono in campagna elettorale: il rischio è quello della chiusura delle aziende che genererebbe un cortocircuito del sistema di recupero dei rifiuti plastici e un enorme gap di competitività su scala internazionale. La fluttuazione dei prezzi dell’energia non consente tra l’altro una programmazione delle attività.
Se non si interverrà con tempestività, sottolinea Assorimap in una nota stampa, si rischia di scontrarsi con un amaro paradosso: economia circolare e transizione ecologica vengono collocate costantemente in cima all'agenda politica, ma i rincari in corso stanno soffocando le imprese che ne costituiscono il cuore pulsante. Investire sulla Green Economy non può prescindere da sostegni strutturali a queste realtà.
In termini di sostenibilità le imprese rappresentate da Assorimap costituiscono infatti un'eccellenza con 800 mila tonnellate di materia prima seconda in uscita dagli impianti di riciclo meccanico, come emerge dal rapporto presentato lo scorso giugno. Per ogni tonnellata di materia plastica riciclata si risparmiano 1,9 tonnellate di petrolio e 3.000 kWh di energia elettrica e si riducono le emissioni di CO2 di 1,4 di tonnellate equivalenti di petrolio. Bisogna partire da questi elementi, per programmare azioni in grado di contrastare in pianta stabile i rincari energetici. Non farlo soffocherebbe l'economia circolare e comprometterebbe il processo di transizione ecologica per l'Italia.