Servono davvero materiali biodegradabili?
Da qualche mese, per fortuna, si sono calmati gli animi in materia di plastiche biodegradabili. Dobbiamo tornare indietro nel tempo per trovare le radici tecniche, economiche e giuridiche di questo concetto scientifico che ha provocato molti fraintendimenti. Dobbiamo fare un salto indietro di un quarto di secolo e fare riferimento all'allora Ministro dell"Industria Renato Altissimo, che in una legge che regolamentava la vendita a peso netto aveva introdotto, a sorpresa, l’obbligo di biodegradabilità per i sacchetti da asporto merci. Concetto poi ripreso da un Ministro dell’Ambiente, Giorgio Ruffolo, che con un provvedimento assai più complesso, e controverso, aveva introdotto anche limiti dimensionali e imposta di fabbricazione. Ma dimentichiamoci dei ministri passati e veniamo a tempi più recenti. Una legge finanziaria auspica, previa indagine tecnica ovviamente mai avviata, la progressiva sostituzione dei tradizionali sacchetti in polietilene con sacchetti fabbricati con materie plastiche biodegradabili. C’è molta confusione: plastica biodegradabile, compostabile, idrosolubile, da fonti rinnovabili, ecc. Non ho competenze tecniche tali da inserirmi nel dibattito scientifico e quindi mi limito ad alcune riflessioni di carattere "comportamentale”, magari continuando a prendere come esempio i sacchetti che conquistano le prime pagine dei giornali alla prima emergenza “monnezza” (nonostante proprio loro garantiscano il conferimento della “monnezza” medesima in condizioni di relativa sicurezza di smaltimento).