Il nuovo rapporto stilato dal nova-Institute, intitolato “Asian markets for bio-based chemical building blocks and polymers” (ovvero: “I mercati asiatici dei blocchi biochimici di base e dei biopolimeri”), presenta gli ultimi dati e sviluppi riguardanti Cina, Giappone, Malesia, Corea del Sud, Taiwan e Tailandia. Autore del rapporto è Wolfgang Baltus, della tailandese Wobalt Expedition Consultancy, in collaborazione con gli specialisti di biopolimeri del nova-Institute.

Nel 2016, la capacità globale si è attestata a 2,4 milioni di tonnellate di biopolimeri, di cui oltre il 45% dei gradi principali vengono prodotti in Asia (escludendo l’acetato di cellulosa e le resine termoindurenti).

Secondo le previsioni, la capacità mondiale dovrebbe raggiungere i 3,6 milioni di tonnellate nel 2021, il 52% circa dei quali concentrati in Asia, segnando un incremento della capacità installata del 71% nel corso del prossimo quinquennio. Da diversi anni, ormai, il continente asiatico detiene il 100% della capacità produttiva di PBS(X) e di policarbonato alifatico ciclico (APC), come rivela la figura 1.

Per quanto riguarda i blocchi biochimici di base, il rapporto evidenzia, nei paesi del sud-est asiatico, un incremento delle bioraffinerie e dei centri di produzione per biomateriali di base, volto a potenziarne la competitività. Un maggiore impegno nei rapporti di collaborazione e partnership lungo la filiera e con gli operatori dei reparti di ricerca e sviluppo rappresenta infatti un fattore sempre più fondamentale per conquistare il successo.

I potenziali investitori e clienti asiatici attendono con ansia un’inversione di rotta nelle strategie e negli incentivi del governo. Al momento, tuttavia, le misure governative sono per lo più mirate a incrementare la capacità di esportazione dei singoli paesi e a promuovere il trasferimento tecnologico. Paesi come la Tailandia hanno reagito alle richieste del mercato introducendo una serie di “piani” per promuovere l’introduzione dei materiali bioplastici e/o delle biotecnologie.

L’incremento più significativo della capacità produttiva (e della quota di mercato), per il futuro, riguarderà, secondo le previsioni, il PLA e le poliammidi (PA). Un altro gruppo di biopolimeri in voga in Asia sono i poliidrossialcanoati (PHA), mentre un altro aspetto analizzato dal rapporto del nova-Institute consiste nei volumi di produzione e nei relativi trend.

Il bioPET, new entry tra i biopolimeri e per il momento ancora solo parzialmente biologico, detiene la quota più significativa della capacità produttiva asiatica complessiva. Nel 2021, secondo le stime, il PET contribuirà alla capacità totale di biopolimeri per il 59%, in Asia, protagonista indiscussa del rapporto. I polimeri “biodegradabili e compostabili” (quali PLA, PBS, PBAT e PHA), invece, nel 2021 contribuiranno alla produzione asiatica di biopolimeri per il 25% circa: ciò significa, tuttavia, che approssimativamente il 75% dell’intera produzione di biomateriali, in Asia, sarà dedicato ai polimeri durevoli.

Inoltre, il continente asiatico sta assistendo all’ascesa del concetto di bioraffineria, che consentirà ai produttori di diversificare il rischio economico, estendendo le opportunità commerciali esistenti a nuovi segmenti di mercato complementari, compresa l’industria delle bioplastiche. L’evoluzione del Sud-est asiatico, inoltre, punta verso la creazione di centri e siti su larga scala dedicati alla produzione di biomateriali, o di parchi tecnologici destinati alla fabbricazione di biopolimeri, come in Tailandia o Malesia.

In futuro, con ogni probabilità, l’Asia non punterà esclusivamente sui biopolimeri, bensì sui blocchi biochimici di base quali acidi organici, dioli e biomonomeri, come ad esempio il bioetilene, integrando nel processo le risorse agricole disponibili.