Amaplast, Unionplast, Federalimentare e Federchimica PlasticsEurope Italia fanno fronte comune nell’esprimere la propria contrarietà all’introduzione della plastic tax sugli imballaggi in plastica che penalizzerebbe fortemente l’intera filiera delle materie plastiche e lanciano una campagna stampa congiunta su Il Sole 24 Ore e Il Corriere della Sera per mettere in evidenza le ripercussioni che tale provvedimento previsto dalla Legge di Bilancio 2020 avrebbe in diversi ambiti.
Anzitutto, secondo le stime, la tassa sugli imballaggi in plastica comporterebbe un aumento del 110% del costo di produzione degli imballaggi, danneggiando lavoro, ricerca, comuni, collettività e famiglie, risultando quindi iniqua non soltanto per la diretta interessata, l’industria delle materie plastiche. Ma vediamo in dettaglio quali sarebbero le implicazioni conseguenti alla sua entrata in vigore il primo giugno del 2020.
Una tassa contro l’ambiente
La misura non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti e rappresenta unicamente un’imposizione diretta a recuperare risorse ponendo ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese. A questo riguardo le associazioni si dicono fermamente convinte che uno dei principali elementi su cui puntare per realizzare un vero sviluppo sostenibile sia il completamento della transizione verso il modello economico circolare e non i divieti o la tassazione di materiali.
I rifiuti costituiscono una enorme riserva di risorse che, se opportunamente gestita e valorizzata, può garantire un approvvigionamento sostenibile e continuo negli anni di materiali ed energia. L’industria italiana ha investito da tempo nell’economia circolare guadagnandosi la leadership europea, attraverso: minor utilizzo delle materie prime; maggiore efficienza nei processi produttivi; minore quantità di rifiuti e una positiva percezione da parte del mercato e dei consumatori.
Una tassa contro lavoro e ricerca
La plastic tax andrebbe a punire un’industria che sta facendo grandi sforzi nella direzione della sostenibilità, drenando peraltro importanti risorse per investimenti per innovazioni. Dal punto di vista tecnologico, il settore ha già investito e continua a investire e oggi è la seconda industria in Europa, con rilevanti implicazioni occupazionali. In particolare, il settore vede la presenza di tremila aziende, con oltre 50 mila lavoratori tra trasformatori e aziende di seconda lavorazione.
Il fatturato sviluppato nel 2018 è prossimo ai 12 miliardi di euro, in crescita dell’1,2% rispetto all’anno precedente. Sotto il profilo dei volumi, il 2018 ha registrato un andamento piatto, pari a 3,11 milioni di tonnellate, determinato dalla flessione dell’impiego di polimeri vergini bilanciata da un incremento dell’impiego di materiali riciclati (aggregato pre e post consumo), che hanno vissuto una crescita di oltre il 6% rispetto all’anno precedente.
Una tassa contro un materiale insostituibile
Al momento, la plastica non è sostituibile in numerosi mercati e prodotti, confermandosi di fatto, e contrariamente all’opinione pubblica dominante, la migliore soluzione per l‘ambiente. Più in dettaglio, la plastic tax colpirebbe la plastica ritenendo che la riduzione dell’immesso al consumo possa contribuire a risolvere le difficoltà connesse alla corretta gestione del fine vita, senza comprendere che tali difficoltà continueranno a permanere finché non si affronteranno le condizioni di contorno, legate a un quadro di riferimento normativo/autorizzativo e di dotazione impiantistica assolutamente insufficiente per un Paese che ha l’ambizione di restare leader in Europa nell’economia circolare.
La misura rischia di compromettere anche il sistema dei consorzi per la gestione e il riciclo degli imballaggi, che da più di vent’anni ha consentito al nostro Paese di essere leader nell’economia circolare e di raggiungere tutti gli obiettivi europei per il riciclo.
Una tassa contro comuni e collettività
Le imprese del settore già oggi pagano il contributo ambientale Conai per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica per un ammontare di 450 milioni di euro all’anno, dei quali 350 vengono versati ai Comuni per garantire la raccolta differenziata.
Peraltro già sussiste una modulazione di contributo sulla qualità del materiale messo in commercio: maggiore è la riciclabilità e la qualità del materiale che finisce nella raccolta urbana, minore sarà il contributo richiesto alle imprese per garantire la corretta gestione del fine vita. La plastic tax rischia di mettere in crisi l’intero settore della produzione.
Sul punto basta considerare il fatto che oggi un kg di plastica (come materiale in ingresso nei processi produttivi) ha un costo medio di 0,90 euro, al quale va aggiunto il valore medio di 0,33 euro al kg di CAC (Contributo Ambientale Conai), per un totale di 1,2 euro al kg. A questo ammontare andrebbe sommata la plastic tax del valore di un euro al kg che farebbe lievitare del doppio il costo (2,20 euro al Kg), il tutto da maggiorare dell’IVA. In altri termini, la tassazione determinerebbe un aumento del 110% il costo di produzione degli imballaggi in plastica.
Una tassa contro le famiglie
Ma gli effetti negativi dell’imposta si determinerebbero, altresì, anche per il settore chimico, per i costruttori di macchine, attrezzature e stampi e per i settori industriali utilizzatori di imballaggi. Si pensi, per esempio, a tutto il comparto alimentare e delle bevande, della cosmetica e dell’igiene.
La tassa determinerebbe infatti un aumento medio pari al 10% del prezzo di prodotti di larghissimo consumo contribuendo a indebolire ulteriormente la domanda interna con evidenti ripercussioni negative per tutti i settori indicati. In alcuni casi, come quello delle acque minerali, l’aumento potrebbe arrivare fino al 50-60% del prezzo al consumo sui primi prezzi, a causa del basso valore aggiunto del prodotto. L’impatto sulla spesa delle famiglie è stimabile in circa 110 euro annui.
A legislazione vigente, le imposte indirette (IVA e accise) già gravano in misura maggiore sulle famiglie a più basso reddito (18% del reddito disponibile, contro il 12% delle famiglie più ricche). L’introduzione della plastic tax andrebbe quindi a peggiorare ulteriormente tale incidenza.