Una recente nota di Confindustria prende in esame la situazione ucraina e le sue implicazioni economiche, che, seppure non strettamente attinenti al nostro settore, possono, in qualche misura, essere di interesse per gli operatori nell’industria delle materie plastiche e della gomma. Secondo tale nota, di cui riprendiamo i contenuti salienti, le principali e più importanti ripercussioni economiche della crisi diplomatica russo-ucraina riguardano inevitabilmente la stessa Ucraina, che, nel 2013, presentava un debito pubblico di 64 miliardi di dollari e un bilancio fortemente dipendente dagli aiuti esterni (recentemente stimati in 35 miliardi di euro). In pochi giorni dallo scoppio delle tensioni, le riserve in valuta straniera del paese sono diminuite di 13 miliardi di euro e i rischi legati all’instabilità hanno portato molti correntisti a ritirare i loro depositi. Anche gli investimenti privati si sono ridotti al minimo, mentre la borsa sta subendo perdite continue e consistenti. Il paese ha un disperato bisogno dei fondi promessi dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, che, tuttavia, non sono ancora arrivati. Se da un lato gli Usa hanno promesso un intervento diretto per 1 miliardo di dollari, la Russia ha bloccato la seconda tranche del prestito di 15 miliardi di dollari concesso all’ex presidente Yanukovich nel dicembre 2013 (per un valore di 3 miliardi).
Oltre che sul piano finanziario, la dipendenza di Kiev da parte della Russia si rinviene anche sul piano energetico. Infatti, è solo grazie a un prezzo di favore sul gas accordato da Gazprom nel 2013 (uno sconto di circa il 30%, da 400 a 265 dollari per 1000 metri cubi) che l’Ucraina è riuscita a raddoppiare l’importazione di gas, passando dai 20 milioni di metri cubi del marzo 2013 ai 45 milioni del periodo febbraio-marzo 2014, facendo tuttavia solo in parte fronte a un fabbisogno totale di circa 50 miliardi di metri cubi annui. Dal punto di vista commerciale la Russia, inoltre, è il primo partner di Kiev, con una quota di mercato del 19,6% per l’import e del 24% per l’export. Nel 2012 il deficit commerciale verso Mosca è stato pari a 9 miliardi di dollari ed è andato sempre più ampliandosi negli ultimi anni (dai 5 mld del 2009). Gli effetti diretti della crisi, seppur meno gravi, potrebbero materializzarsi sia per la Russia sia per l’UE. In particolare, l’impatto principale della crisi ucraina sull’UE non dipende dall’eventuale diminuzione dell’import-export con l’Ucraina, quanto piuttosto dalle tensioni con la Russia e dalle eventuali ripercussioni sull’approvvigionamento energetico. L’interscambio UE-Ucraina, infatti, incide solo per lo 0,8% del totale delle importazioni UE e per l’1,4% delle esportazioni. L’80% di tutto il gas russo esportato verso l’Unione Europea transita invece per il territorio ucraino.
Di tutti i paesi europei, le maggiori preoccupazioni riguardano la Germania, che importa gas e petrolio dalla Russia, principalmente via Ucraina, per il 40% circa del totale del suo fabbisogno energetico, un valore quindi più alto della media UE (che dipende dal gas russo per il 25% del suo fabbisogno totale). Il ruolo strategico degli Stati Uniti sta divenendo sempre più rilevante e nel paese è in corso un acceso dibattito sulle restrizioni alle esportazioni di gas e petrolio statunitense verso paesi con i quali non esiste un accordo commerciale (Europa inclusa). Il presidente Obama ha fatto sapere che la costruzione di terminal per l’export di GNL non è ancora ultimata. Washington ha altresì comunicato che non è plausibile ritenere che il Cremlino rinunci ai proventi derivanti dalla vendita di gas all’Europa. Secondo Obama, poi, il rischio di una crisi del gas in Europa è limitato dal fatto che lo stoccaggio di GNL in Europa al momento è al di sopra dei livelli normali. Inoltre, rimane da definire l’effettiva capacità dell’export energetico americano di controbilanciare le forniture russe verso i partner europei e non è chiaro se la produzione americana di gas di scisto sia tale da poter ridurre effettivamente la dipendenza energetica europea da Mosca. Fra l’altro, secondo gli analisti il primo terminal per l’export (Sabine Pass in Lousiana) potrebbe essere operativo soltanto a partire dalla seconda metà del 2015. In ogni caso, un segnale americano in tal senso potrebbe essere un monito per Putin ad adottare una posizione più conciliante.
Per quanto riguarda l’Italia, il nostro Paese è in assoluto quello europeo la cui bolletta energetica è più dipendente dall’importazione di gas. Oltre il 25% del metano consumato in Italia è importato dalla Russia esclusivamente via Ucraina, mentre l’altro 75% proviene per un terzo dall’Algeria e il restante dalla Libia, Paesi Bassi e Norvegia. Nonostante ciò, l’impatto della crisi sull’approvvigionamento energetico italiano appare al momento minimo, in quanto, a causa della recessione, la domanda di gas italiana è molto diminuita (-17% dal 2008) e gli stoccaggi a fine inverno 2013 sono ancora pieni al 45%. Dal punto di vista commerciale, nel 2012 l’export dell’Italia verso l’Ucraina si è attestato a 1,7 miliardi di euro (+3,9 rispetto al 2011, lo 0,5% dell’export totale verso il mondo) e l’import a 2,3 miliardi (-17,8% sull’anno precedente). Il 16% delle nostre vendite in Ucraina è costituito da prodotti della meccanica, seguiti da articoli di abbigliamento (10%) e arredamento (6,8%), mentre circa il 50% delle nostre importazioni è rappresentato da prodotti siderurgici. Con una quota di mercato del 2,8%, siamo il settimo fornitore dell’Ucraina, terzo in Europa dopo Germania e Polonia. Il fronte su cui l’Italia appare più esposta agli eventi di queste settimane è però quello degli investimenti diretti, soprattutto nel settore bancario.
Le imprese italiane stabilmente presenti in Ucraina sono più di 300 e oltre 130 sono le partecipazioni italiane in aziende del paese (per un fatturato totale di oltre 2,5 milioni di euro): più della metà produce in forma indipendente o in joint venture, mentre le altre hanno una rappresentanza commerciale. La società italiana presente in Ucraina con il fatturato maggiore è Unicredit, che gestisce asset per circa 3,84 miliardi di euro attraverso 456 sportelli. Al pari delle altre banche ucraine, Unicredit ha chiuso le sue filiali a Sinferopoli, capitale della Crimea, riducendo l’orario degli sportelli delle altre presenti nell’area; sono stati inoltre imposti dei limiti temporanei ai prelievi dagli sportelli bancomat al fine di scongiurare una corsa al ritiro dei contanti. Gli analisti di Mediobanca Securities hanno tuttavia segnalato che l’Ucraina è ininfluente per gli utili di Unicredit, così come per quelli di Intesa Sanpaolo.
Oltre che sul piano finanziario, la dipendenza di Kiev da parte della Russia si rinviene anche sul piano energetico. Infatti, è solo grazie a un prezzo di favore sul gas accordato da Gazprom nel 2013 (uno sconto di circa il 30%, da 400 a 265 dollari per 1000 metri cubi) che l’Ucraina è riuscita a raddoppiare l’importazione di gas, passando dai 20 milioni di metri cubi del marzo 2013 ai 45 milioni del periodo febbraio-marzo 2014, facendo tuttavia solo in parte fronte a un fabbisogno totale di circa 50 miliardi di metri cubi annui. Dal punto di vista commerciale la Russia, inoltre, è il primo partner di Kiev, con una quota di mercato del 19,6% per l’import e del 24% per l’export. Nel 2012 il deficit commerciale verso Mosca è stato pari a 9 miliardi di dollari ed è andato sempre più ampliandosi negli ultimi anni (dai 5 mld del 2009). Gli effetti diretti della crisi, seppur meno gravi, potrebbero materializzarsi sia per la Russia sia per l’UE. In particolare, l’impatto principale della crisi ucraina sull’UE non dipende dall’eventuale diminuzione dell’import-export con l’Ucraina, quanto piuttosto dalle tensioni con la Russia e dalle eventuali ripercussioni sull’approvvigionamento energetico. L’interscambio UE-Ucraina, infatti, incide solo per lo 0,8% del totale delle importazioni UE e per l’1,4% delle esportazioni. L’80% di tutto il gas russo esportato verso l’Unione Europea transita invece per il territorio ucraino.
Di tutti i paesi europei, le maggiori preoccupazioni riguardano la Germania, che importa gas e petrolio dalla Russia, principalmente via Ucraina, per il 40% circa del totale del suo fabbisogno energetico, un valore quindi più alto della media UE (che dipende dal gas russo per il 25% del suo fabbisogno totale). Il ruolo strategico degli Stati Uniti sta divenendo sempre più rilevante e nel paese è in corso un acceso dibattito sulle restrizioni alle esportazioni di gas e petrolio statunitense verso paesi con i quali non esiste un accordo commerciale (Europa inclusa). Il presidente Obama ha fatto sapere che la costruzione di terminal per l’export di GNL non è ancora ultimata. Washington ha altresì comunicato che non è plausibile ritenere che il Cremlino rinunci ai proventi derivanti dalla vendita di gas all’Europa. Secondo Obama, poi, il rischio di una crisi del gas in Europa è limitato dal fatto che lo stoccaggio di GNL in Europa al momento è al di sopra dei livelli normali. Inoltre, rimane da definire l’effettiva capacità dell’export energetico americano di controbilanciare le forniture russe verso i partner europei e non è chiaro se la produzione americana di gas di scisto sia tale da poter ridurre effettivamente la dipendenza energetica europea da Mosca. Fra l’altro, secondo gli analisti il primo terminal per l’export (Sabine Pass in Lousiana) potrebbe essere operativo soltanto a partire dalla seconda metà del 2015. In ogni caso, un segnale americano in tal senso potrebbe essere un monito per Putin ad adottare una posizione più conciliante.
Per quanto riguarda l’Italia, il nostro Paese è in assoluto quello europeo la cui bolletta energetica è più dipendente dall’importazione di gas. Oltre il 25% del metano consumato in Italia è importato dalla Russia esclusivamente via Ucraina, mentre l’altro 75% proviene per un terzo dall’Algeria e il restante dalla Libia, Paesi Bassi e Norvegia. Nonostante ciò, l’impatto della crisi sull’approvvigionamento energetico italiano appare al momento minimo, in quanto, a causa della recessione, la domanda di gas italiana è molto diminuita (-17% dal 2008) e gli stoccaggi a fine inverno 2013 sono ancora pieni al 45%. Dal punto di vista commerciale, nel 2012 l’export dell’Italia verso l’Ucraina si è attestato a 1,7 miliardi di euro (+3,9 rispetto al 2011, lo 0,5% dell’export totale verso il mondo) e l’import a 2,3 miliardi (-17,8% sull’anno precedente). Il 16% delle nostre vendite in Ucraina è costituito da prodotti della meccanica, seguiti da articoli di abbigliamento (10%) e arredamento (6,8%), mentre circa il 50% delle nostre importazioni è rappresentato da prodotti siderurgici. Con una quota di mercato del 2,8%, siamo il settimo fornitore dell’Ucraina, terzo in Europa dopo Germania e Polonia. Il fronte su cui l’Italia appare più esposta agli eventi di queste settimane è però quello degli investimenti diretti, soprattutto nel settore bancario.
Le imprese italiane stabilmente presenti in Ucraina sono più di 300 e oltre 130 sono le partecipazioni italiane in aziende del paese (per un fatturato totale di oltre 2,5 milioni di euro): più della metà produce in forma indipendente o in joint venture, mentre le altre hanno una rappresentanza commerciale. La società italiana presente in Ucraina con il fatturato maggiore è Unicredit, che gestisce asset per circa 3,84 miliardi di euro attraverso 456 sportelli. Al pari delle altre banche ucraine, Unicredit ha chiuso le sue filiali a Sinferopoli, capitale della Crimea, riducendo l’orario degli sportelli delle altre presenti nell’area; sono stati inoltre imposti dei limiti temporanei ai prelievi dagli sportelli bancomat al fine di scongiurare una corsa al ritiro dei contanti. Gli analisti di Mediobanca Securities hanno tuttavia segnalato che l’Ucraina è ininfluente per gli utili di Unicredit, così come per quelli di Intesa Sanpaolo.