A Catania, Biorepack e Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb) del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno sottoscritto una convenzione con lo scopo di individuare quanto è diffuso l’utilizzo di poliolefine, in particolare il polietilene, nei sacchetti commercializzati come compostabili.
I sacchetti in bioplastica compostabile sono un valido ausilio per migliorare la raccolta differenziata dei rifiuti organici e per incrementare quantità e qualità del compost ottenuto negli impianti di trattamento. Molti, tuttavia, sono ancora i casi di uso e commercializzazione di prodotti illegali, spesso provenienti da filiere estere non controllate, quali, per esempio, i sacchi per asporto merci e i sacchetti forniti come imballaggio primario di alimenti sfusi che contengono poliolefine in percentuali variabili.
In base all’accordo, Ipcb effettuerà la ricerca e l’analisi dell’eventuale contenuto di polietilene su campioni di sacchetti per asporto merci e per imballaggio di alimenti sfusi reperiti nei punti vendita della GDO, nei mercati e nei negozi, in modo da verificarne la conformità alla legge.
“La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ricorda che circa il 25% degli shopper immessi a consumo non è a norma. Contrastare i comportamenti illegali, per quanto difficile e faticoso, è l’unico modo per tutelare l’efficacia degli imballaggi in bioplastica compostabile e per valorizzare il loro prezioso apporto in favore della cura dei suoli agricoli, che possono trovare grande giovamento dall’uso del compost derivante dai rifiuti organici. Il contributo scientifico del Cnr di Catania sarà fondamentale per sostenere le nostre attività di contrasto a questo fenomeno”, ha commentato Marco Versari, presidente di Biorepack.
“I bioshopper sono costituiti da miscele complesse di più componenti polimerici e di additivi di varia natura. La metodica messa a punto, applicata in due fasi, combinando due tecniche analitiche, una qualitativa e l’altra quantitativa, consente di svelare la natura chimica del materiale, fornendo una sorta d’impronta digitale del polietilene, e di determinarne successivamente la quantità presente”, ha spiegato Paola Rizzarelli, ricercatrice di Ipcb.
“Utilizzando la metodologia sviluppata dalla ricercatrice Paola Rizzarelli e dai suoi collaboratori Emanuele Mirabella e Marco Rapisarda riusciamo a contrastare un pericolo ambientale e a evitare un danno economico per gli impianti di biodigestione anaerobica e compostaggio, ma più in generale per la filiera virtuosa delle bioplastiche, svolgendo anche un servizio a tutela dei consumatori e quindi della società”, ha aggiunto Domenico Garozzo, direttore di Ipcb.
Le indagini avranno inizio a gennaio 2023 e i risultati verranno resi noti nel corso dell’anno.