La domanda mondiale di cibi precotti e pronti al consumo è in continuo aumento, sostenuta da molti fattori socio-economici quali l’incremento dell’occupazione, l’abbondante flusso migratorio dalle aree rurali a quelle urbane, la maggiore disponibilità economica degli abitanti dei cosiddetti paesi emergenti e la percezione del cibo pronto all’uso come più sicuro (oltre che più comodo e appetitoso). Questo è quanto rivela un recente studio condotto dalla società di consulenza Future Market Insights.
Sta all’industria del packaging alimentare, pertanto, mettere a punto prodotti sempre più innovativi e performanti. Se, inizialmente, agli imballaggi erano richieste proprietà protettive che prevenissero contaminazioni fisiche e ambientali, oggi la sfida è contrastare quei microrganismi presenti nei cibi stessi, che possono intaccarne la qualità e la sicurezza.
Entrano così in gioco gli imballaggi attivi, ovvero quelli realizzati con materiali a rilascio controllato di agenti antimicrobici, che quindi inibiscono il proliferare di microorganismi e allungano la vita a scaffale degli alimenti. Il loro orizzonte applicativo si estende anche alle bevande, ai latticini e arriva fino alla cosmetica. Il mercato del packaging antimicrobico può essere classificato a seconda del tipo di agenti (chimici o naturali, per esempio estratti dai semi degli acini d’uva), dell’alimento confezionato (fresco, snack ecc.) e del film utilizzato (LDPE, PP, PET, PE). Se Nord America ed Europa confermano la loro posizione di leadership nel mercato, l’Asia-Pacifico possiede la crescita più veloce.
Altri report su questo argomento sono stati redatti da altre società di consulenza. Per esempio Technavio, concentrandosi sul segmento plastico di tale mercato, ne definisce una quota del 59% circa sul totale nel 2015, destinata a diventare entro il 2020 sempre più preponderante: 59% plastica, 18% biopolimeri, 16% cartone, 7% altri materiali. A livello mondiale il giro d’affari del comparto dovrebbe registrare un incremento del 5% all’anno (sempre entro il 2020). Ancora secondo Technavio, nel 2015 l’industria alimentare è stata la principale utilizzatrice di packaging antimicrobico (con il 40%), dato l’aumento del consumo di carne, pesce, prodotti dolciari e da forno.
I grandi marchi e i consumatori preferiscono questo tipo di imballaggio ai contenitori in vetro, alluminio ecc., in quanto più leggeri, economici e adattabili al design e alle mode (basti pensare che circa il 40% dell’imballaggio plastico attivo è rappresentato dalle pouch, le buste autosostenenti). Cresce anche l’impiego di biopolimeri (soprattutto film) in parallelo con la necessità di un uso più consapevole delle risorse.
Transparency Market Research, invece, l’accento su due fattori. In primis, la tendenza da parte dei consumatori a rifornirsi di scorte alimentari in parte per combattere l’inflazione e gli sprechi, ma anche per prevenire l’eventuale scarsità di prodotti sul mercato; in questo caso priorità di produttori e consumatori è allontanare il più possibile la data di scadenza dei cibi. In secondo luogo, la comodità dei cibi pronti per la maggior parte della popolazione che conduce uno stile di vita che non lascia certo molto spazio alla cucina.
Enti come la FDA (Food and Drug Administration) monitorano il settore dal punto di vista normativo, stabilendo standard a cui i produttori devono adeguarsi come il limite insuperabile di immissione di agenti chimici, che spesso varia da stato a stato.
Come accennato, l’attrazione principale per i produttori di packaging attivo ora è esercitata dai paesi dell’Asia-Pacifico, dove l’aumento demografico e la preoccupazione circa la salute costituiscono le vere sfide per il settore.