L’industria chimica in Italia - oltre 2.800 imprese per 112 mila addetti - oggi vale 67 miliardi di euro e quasi 40 miliardi di export, ma una politica industriale a favore del settore apporterebbe 22,2 miliardi di euro di valore aggiunto incrementale e un beneficio economico a tutto il sistema manifatturiero che, secondo le stime, varrebbe 33,3 miliardi di euro, oltre che decine di migliaia di nuovi posti di lavoro, anche se permarrebbero le criticità dei settori della chimica a monte, esposti agli alti costi dell’energia e delle materie prime che hanno subito una continua perdita di competitività ormai strutturale (il costo del gas storicamente circa quattro volte superiori rispetto altre aeree). Questo lo scenario che emerge dallo studio “L’industria chimica come competenza abilitante per il Made In Italy e per lo Sviluppo Sostenibile”, realizzato da The European House Ambrosetti e presentato il 28 ottobre nel corso dell’assemblea di Federchimica (la federazione nazionale dell’industria chimica). “Lo studio”, ha sottolineato Francesco Buzzella, presidente di Federchimica, “rappresenta una proposta corale che tutte le parti sociali di settore mettono a disposizione del Governo per promuovere iniziative a favore di un settore strategico come la chimica”.

Dopo due anni consecutivi di contrazione (-4,1% nel 2022 e -6,7% nel 2023), per il 2024 si prevede una sostanziale stabilizzazione della produzione chimica in Italia (+0,5%). Le possibilità di una timida ripresa sono rinviate al 2025 (+1,2%) e subordinate al contesto, che rimane denso di incognite e di intense pressioni competitive. 

“La chimica vive in anticipo e in modo amplificato il nuovo scenario di "policrisi" che condiziona tutta l'industria - italiana ed europea - e che impatta prepotentemente sulle imprese in termini di costi dell'energia e del trasporto internazionale, accesso ai mercati di approvvigionamento e di esportazione, difficoltà di programmazione della produzione e degli investimenti. Paghiamo un prezzo carissimo, quello di una normativa che favorisce il primato ecologico dell’Europa a dispetto della competitività industriale, in un mercato che premierà invece altri Paesi, meno virtuosi sotto il profilo ambientale. Infatti, il 75% delle chiusure mondiali di stabilimenti riguarda l’Unione Europea, a fronte di nuovi investimenti che si concentrano nelle altre parti del mondo. La vera sfida è rendere la transizione ecologica sostenibile anche socialmente ed economicamente, senza rinunciare ai traguardi raggiunti in materia di qualità della vita”, ha avvertito il presidente di Federchimica

Per far questo occorre rivedere tempi e modalità di attuazione del Green Deal, con particolare attenzione ai costi dell’energia, “perché la neutralità tecnologica va ricercata includendo tecnologie molteplici”, ha ricordato Buzzella, “e individuando così le soluzioni migliori in funzione delle innumerevoli esigenze applicative, anche in relazione alle specificità dei singoli Paesi. Altrimenti, l’Europa rischia di impoverirsi al punto di non avere più le risorse da investire nelle tecnologie del futuro. In Italia il gap competitivo è anche nei confronti degli altri Paesi europei, dove il costo dell’energia è ben inferiore: serve un mercato unico europeo dell’elettricità. Valorizziamo il ruolo dell’Italia come hub energetico per l’area Sud dell’Europa - per il gas, lo stoccaggio della CO2 e le rinnovabili - in una strategia che comprenda il nucleare di nuova generazione e quello di fusione”.

Francesco Buzzella.
(Foto Federchimica)

Il presidente di Federchimica ha proseguito ribadendo quanto sia la chimica, ancora una volta, a fornire soluzioni: “Senza chimica non c’è industria: i prodotti chimici sono componenti essenziali del 95% dei manufatti di uso quotidiano o in applicazioni strategiche anche per la transizione, quali le batterie o i pannelli solari. La transizione ecologica richiederà non meno, ma più chimica: la mobilità sostenibile ne comporta almeno il 30% in più, ma lo stesso discorso vale per tutti gli altri ambiti, dall’agroalimentare all’edilizia”.

La chimica in Italia si distingue come eccellenza in termini di competenze e capacità tecnologiche, e può far leva sull’innovazione per spingersi verso la specializzazione, fattori abilitanti per traguardare gli obiettivi di decarbonizzazione e circolarità che stanno indirizzando l’industria europea nello sviluppo di un modello sempre più sostenibile. La transizione ecologica della chimica necessita sia di investimenti in tecnologie breakthrough (quali riciclo chimico, fonti rinnovabili e biotecnologie, idrogeno rinnovabile ed elettrochimica, recupero e riutilizzo della CO2), sia di investimenti in ambiti di innovazione continuativa, prioritariamente in efficienza energetica, eco-progettazione dei prodotti, sostenibilità ambientale e digitalizzazione.

Per sostenere la decarbonizzazione, il settore chiede di rafforzare i finanziamenti dei progetti di transizione, a partire dalla destinazione dei proventi dei permessi per le emissioni di CO2 (ETS - Emissions Trading System). “Tra costi diretti e indiretti (cioè, connessi all’acquisto di elettricità) le emissioni di CO2, costano alle nostre imprese oltre 600 milioni di euro all’anno, quasi quanto tutti gli investimenti in ricerca e innovazione del settore”, ha ricordato Buzzella. Le compensazioni dei costi indiretti della CO2 dovrebbero raggiungere anche in Italia il limite massimo del 70% ammesso dalla normativa, come avviene negli altri principali Paesi europei.

“Siamo un settore fondamentale per affrontare la sfida del cambiamento climatico e della tutela ambientale”, ha concluso il presidente di Federchimica, “nonché essenziale per garantire benessere, salute e sicurezza a un pianeta in costante crescita demografica: una politica industriale a favore della chimica è funzionale non solo alle imprese e agli addetti del settore, ma agli interessi di tutto il Paese”.